L’Organizzazione Mondiale della Sanità (2018) avverte che la violenza rivolta alle donne è una grave violazione dei diritti umani e un globale problema di salute pubblica. In particolare, il femminicidio colpisce le donne in quanto tali e si configura come l’ultimo atto di un continuum di violenza di carattere economico, fisico, sessuale e psicologico.
La società moderna sta cercando di ridistribuire il potere in modo equo ma si sta inevitabilmente scontrando con un modello culturale patriarcale che è stato condiviso e praticato per decenni e che rallenta questo fondamentale cambiamento. Per prevenire e tutelare le donne da pratiche sociali violente fisicamente o psicologicamente e che attentano alla loro integrità, sviluppo psicofisico, salute, libertà o vita, diventa importante comprendere le radici della loro discriminazione, oppressione e marginalizzazione.
Omicidi di donne in Italia: alcuni dati
Secondo i dati Istat (2019), in Italia:
- si registra un aumento degli omicidi in ambito familiare o affettivo, di cui l’83,8% sono donne.
- i femminicidinel 2019 sono stati 111, il 91% degli omicidi di donne. L’88,3% è stata uccisa da una persona conosciuta:
- dal partner attuale nel 49,5% dei casi;
- dal partner precedente nel’11,7% dei casi;
- da un familiare nel 22,5% dei casi;
- da un’altra persona conosciuta nel 4,5% dei casi (es. amici, colleghi, etc…).
- si osserva un aumento delle donne uccise dal partner attuale o passato (il 61,3% delle donne uccise nel 2019, il 54,9% nel 2018 e il 54,7% nel 2014).
Mentre gli omicidi di uomini sono diminuiti in 25 anni (da 4,0 per 100.000 maschi nel 1992 a 0,8 nel 2017), le vittime donne di omicidio sono rimaste complessivamente stabili (da 0,6 a 0,4 per 100.000 femmine). Per queste ultime, la diminuzione nel tempo ha seguito ritmi molto più lenti, fino ad arrestarsi.
Femminicidio: cos’è
Il termine femminicidio coniato nel 1993 dall’antropologa messicana Marcela Lagarde indica qualsiasi forma di discriminazione e violenza esercitata sistematicamente sulle donne con lo scopo di subordinarle ed annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte, in nome di una ideologia patriarcale.
“[…] la forma estrema della violenza di genere contro le donne, prodotto dalla violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato attraverso varie condotte misogine, quali i maltrattamenti, la violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale, che comportano l’impunità delle condotte poste in essere, tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una condizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle istituzioni e all’esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia”
Secondo questa accezione, il femminicidio indica la “morte della donna” che non necessariamente esita sempre nella sua uccisione.
Femminicidio: da delitto d’onore a paura dell’abbandono
Nel XIX e XX secolo, gli uomini che commettevano questa tipologia di crimine spesso venivano giustificati dal pensiero che avessero agito in nome della furia, della gelosia, del tradimento, reale o presunto, spinti dunque dal salvaguardare l’onore proprio e della famiglia. Tale agito aggressivo non riduceva la loro dignità. È grazie alla Legge del 5 agosto 1981, n. 442, che sono stati aboliti tutti i fattori attenuanti relativi all’onore.
Adesso il femminicidio condivide la paura dell’abbandono. Qualsiasi intenzione o atto della donna volto a sottrarsi alla relazione col proprio partner viene sperimentato da quest’ultimo come un abbandono; la perdita della possibilità di dominarla e possederla può esitare in svariate forme di violenza e maltrattamento fino all’eliminazione fisica di quella che il carnefice reputa essere la fonte del disagio. Dunque, il femminicidio può essere visto come l’esito finale e fatale di condotte violente perpetrate a danno della donna all’interno delle mura domestiche e nelle relazioni più intime.
Verso il femminicidio: riconoscere il ciclo della violenza
Nei casi di femminicidio è possibile osservare già nel rapporto di coppia un’asimmetria, non solo a livello manifesto di prevaricazione fisica ma anche a livello più intimo in cui l’uomo si aspetta un amore teso alla sottomissione e la donna una dedizione completa all’altro. L’assunzione di tali ruoli e schemi relazionali alimentano e mantengono asimmetrica la relazione fino a portare il primo ad esercitare una forma di supremazia sull’altra. L’escalation che porta ad agiti violenti e maltrattamenti si articola in 4 fasi temporali che permettono di comprendere perché è così difficile per le donne abbandonare una relazione abusante.
- TENSIONE. Questa prima fase è caratterizzata dalla violenza psicologica perpetrata dal partner: attacchi verbali, accuse, giudizi screditanti. L’intolleranza alla vita familiare gli fa sperimentare uno stato di malessere che viene acutizzato da pensieri ossessivi, spesso di gelosia, circa un tradimento da parte della compagna o rimproveri colpevolizzanti che provocano in lui ostilità e che anticipano l’aggressione vera e propria. La donna vive in uno stato d’allerta e cerca di anticipare tutti i suoi bisogni; diventa così più passiva, si auto-accusa e si sente responsabile di non essere in grado di controllare la situazione. Di contro, l’uomo diventa sempre più opprimente.
- ESPLOSIONE. La tensione accumulata porta l’aggressore ad agire comportamenti violenti sempre più gravi e in rapida escalation, fino a quando non ha liberato tutta la sua ira. La vittima viene portata a credere di essere stata lei a indurre la reazione violenza. In tale contesto abusante, la donna perde il proprio senso di sè e sente di non riuscire a leggere in modo corretto il suo rapporto con il partner.
- RICHIESTA DI PERDONO. Il partner si scusa, dichiara il suo amore e promette di non comportarsi più così.
- LUNA DI MIELE. Segue un periodo di calma e di attenzioni che influenzano la donna e la sua determinazione a separarsi da lui o a denunciarlo. Tuttavia questa luna di miele non è eterna, basta poco perchè nuove tensioni portino il partner ad essere nuovamente violento.
Ecco che il ciclo tende a ripetersi, persino in modo peggiore, grazie anche alla mistificazione della violenza da parte dell’uomo, molto confusiva per la donna. Tale ambiente contribuisce a rendere la relazione ancora più invischiante creando un terreno fertile per la co-dipendenza. Nessuno è in grado di riabilitare la donna dalla sua posizione di imputata come il suo partner quando si pente e, soprattutto se minacciato di essere lasciato, quando la implora di restare mostrandosi a sua volta dipendente da lei. Una gratificazione momentanea che rischia di generare dipendenza dal proprio compagno e un’illusione di controllo del rapporto che però, agli occhi dell’uomo, è la riprova del suo ruolo di potere.
Impotenza, inadeguatezza e colpevolezza indeboliscono le donne a tal punto da restare invischiate nella relazione abusante e perversa, scivolando in una spirale senza fine. Non solo, anche la paura del giudizio, della disapprovazione o della condanna da parte dei familiari e della comunità possono contribuire al loro silenzio sulle violenze subite.
Se sei vittima di maltrattamenti e abusi, puoi:
Chiamare il numero di emergenza: 112
Chiamare il numero anti-violenza e anti-stalking: 1522
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Rivolgerti ai Centri Anti-violenza della tua zona
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