Blog

L’aggressività nei bambini: dalla fisiologia alla patologia

Il comportamento aggressivo assume man mano una valenza diversa nel corso dello sviluppo del bambino. È importante conoscere e riconoscere i comportamenti aggressivi fisiologici per aiutare il bambino a gestirli in maniera adeguata ed efficace, onde evitare che si stabilizzino e originino disturbi psicopatologici.

Nei primi anni di vita, il comportamento aggressivo è soprattutto legato alle limitate abilità sociali dei bambini di interagire con gli altri. Di fatto, inizialmente vengono adottate modalità grossolane e primitive d’interazione che verranno man mano implementate e sostituite da abilità sociali, emotive e cognitive più adeguate di controllo della realtà. Quando l’aggressività tende a persistere oltre gli anni della scuola dell’obbligo allora è possibile delinearla come una vera e propria problematica comportamentale, in quanto strettamente connessa all’incapacità del ragazzo di ricorrere a strategie e modalità interattive socialmente adeguate.

Evoluzione fisiologica delle condotte aggressive

1. Fase dell’irritazione indifferenziata (0-9 mesi)

Fin dai primi mesi di vita è possibile osservare nel bambino una serie di emozioni legate all’irritazione e alla rabbia, soprattutto in relazione a situazioni potenzialmente conflittuali (es. un coetaneo che gli ruba il giocattolo preferito). In questo caso il bambino può reagire con un’irritazione passiva e indifferenziata attraverso urla, pianto e allontanamento. Sebbene non sia semplice verificare se a questi segnali corrisponde una percezione ed una consapevolezza di questi stati emotivi, è comunque osservabile il suo distress emotivo.

2. Fase della protesta attiva (9-12 mesi)

Se nella fase precedente il comportamento del bambino è per lo più passivo, intorno a questi mesi diventa più attivo nella protesta verso le situazioni conflittuali. Riprendendo l’esempio di prima, per ristabilire la situazione desiderata il bambino può contendere fisicamente il giocattolo al coetaneo. In particolare, il livello di attivazione emozionale è fortemente influenzato da due variabili:

  • Valutazione del livello di conflittualità. Se l’adulto di riferimento media il litigio e favorisce un atteggiamento di gioco cooperativo si riduce il rischio di escalation aggressiva.
  • Senso di controllo sulla situazione. La possibilità di raggiungere o meno fisicamente l’oggetto sottratto modula la risposta emozionale.

3. Fase dell’aggressività fisica (12-36 mesi)

In questa fase si assiste alla comparsa e alla crescita di comportamenti aggressivi diretti verso gli altri, soprattutto verso i pari. Alcuni studiosi hanno individuato due picchi, intorno ai 18 e ai 36 mesi. Si tratta di un’aggressività di tipo strumentale, ovvero finalizzata ad ottenere un risultato desiderato, che è collegata a due importanti cambiamenti che avvengono in questa età:

  1. I bambini iniziano a sviluppare standard di valutazione dell’adeguatezza dei propri e altrui comportamenti basati su riferimenti prettamente emotivi;
  2. I bambini iniziano a processare le informazioni sociali complesse ma essendo ancora immaturi sotto questo punto di vista sono maggiormente soggetti a distorsioni cognitive e percettive. Se il bambino ritiene che il compagno gli abbia intenzionalmente sottratto il giocattolo aumenta significativamente il rischio di una reazione aggressiva rispetto a qualsiasi altro stimolo realmente avversivo.

Si ritiene necessario sottolineare che sebbene questo periodo sia caratterizzato da un aumento dei comportamenti aggressivi, questi sono prevalentemente rivolti ai compagni e raramente verso gli adulti, inoltre rappresentano una minoranza rispetto all’intero repertorio comportamentale (oltre i 2/3 degli scambi sono cooperativi e neutri). Non solo, alcuni studi evidenziano che l’aggressività a 2-3 anni non è un comportamento impulsivo e incontrollato, bensì una strategia selettivamente adottata quando i conflitti non vanno verso una soluzione. Di fatto, è stato osservato che più si protrae il conflitto, più è probabile che il bambino adotti comportamenti aggressivi per cercare di risolverlo. Ecco perché l’approccio educativo deve tenere necessariamente conto di questo aspetto. Come? Incrementando e/o insegnando repertori di abilità alternative e il senso di autoefficacia.

4. Fase della desistenza (dai 3 anni alla scuola primaria)

Le competenze verbali acquisite e lo sviluppo morale consentono di mediare i conflitti, di conseguenza diminuiscono gli atti aggressivi strumentali e compaiono forme più relazionali. In particolare, in questa fase subentrano importanti cambiamenti:

  • Si fa man mano largo l’aggressività ostile, indotta da forti e improvvise attivazioni emozionali che i bambini di questa età non sono ancora in grado di gestire efficacemente;
  • Trova spazio l’aggressività verbale, dal sarcasmo al vero e proprio insulto. Essa non dipende solo dallo sviluppo linguistico individuale del bambino ma viene influenzata anche da modelli esterni (es. TV, figure adulte di riferimento..).

5. Fase della stabilità (dai 6 anni alla preadolescenza)

In questa fase gli studiosi hanno osservato una drastica diminuzione della percentuale dei ragazzi coinvolti in condotte devianti mentre aumenta il numero di atti aggressivi emessi da pochi soggetti. In questo periodo l’aggressività è di tipo relazionale e si esplicita sostanzialmente in due modalità:

  • Vendicativa, per cui l’atto aggressivo diventa il mezzo attraverso cui ristabilire un senso di equità a seguito di un torto subito;
  • Gerarchica, per cui l’aggressività viene utilizzata per affermare o mantenere il proprio status di dominanza all’interno di un gruppo/relazione.

6. Fase dell’estemporaneità (adolescenza)

In questa fase si rileva una continuità con i trend precedenti caratterizzata dalla stabilizzazione di bassi tassi di aggressività. Di fatto, lo sviluppo delle abilità di autoregolazione favorisce un comportamento maggiormente cooperativo. Tuttavia, possono verificarsi eventi sporadici e contenuti nel tempo ove atti aggressivi o devianti possono essere legati a forme di pressione da parte dei propri coetanei e/o meccanismi di imitazione.

La presenza di comportamenti aggressivi fisiologici durante lo sviluppo non deve indurre gli adulti a tollerarli o incoraggiarli, bensì a conoscerli e riconoscerli per aiutare il bambino a gestirli in maniera adeguata ed efficace affinchè non si cristallizzino rigidamente. In altre parole, le condotte aggressive non devono sorprendere o spaventare, nè tantomeno indurre gli adulti di riferimento ad etichettare precocemente il bambino come soggetto patologico.

Le traiettorie “devianti”

Come evidenziato in precedenza, dal terzo di anno di età si assiste ad una graduale e continua diminuzione degli atti aggressivi. Le “deviazioni” a rischio di disturbi psicopatologici possono essere considerate tali prendendo in esame tutti i seguenti indicatori:

  • Anomalie, rispetto a quanto atteso per l’età del bambino;
  • Perseverazioni, il perdurare dei comportamenti aggressivi oltre l’età prevista;
  • Pervasività, se occorre in contesti differenti (es. scuola, casa, sport…), con adulti diversi (es. genitori e insegnanti) e in situazioni interattive diverse (es. giochi di gruppo).

In caso di dubbi o sospetti rispetto la condotta di proprio figlio è bene rivolgersi ad un professionista.

Bibliografia

  • Fedeli, D. (2011). Il disturbo della condotta. Roma: Carocci Editore.
  • Tani, F., & Bagatti, E. (2011). Il bambino aggressivo. Perchè e cosa fare. Roma: Carocci Editore.