Attraverso lo sport è possibile superare l’emarginazione dei disabili e migliorare la loro qualità di vita.
“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni. Ha il potere di unire le persone come poche altre cose al mondo. Parla ai giovani in un linguaggio che capiscono. Lo sport può creare speranza, dove prima c’era solo disperazione.” (Nelson Mandela).
La dignità umana è il pilastro fondante di qualsiasi società civile. Con la legge n°18 del 3 marzo 2009, l’Italia ha ratificato e reso esecutiva la convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità (ONU Convention on the Rights of Persons with disabilities, CRPD). La CRPD ha lo scopo di promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, oltre a sostenerne il rispetto e la dignità. Si riferisce dunque a tutte quelle persone che presentano minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che possono impedir loro di partecipare attivamente nella società su una base di eguaglianza con gli altri.
Spesso il tema della disabilità si associa a quello dei diritti negati. Le persone disabili possono rischiare di trovarsi escluse da spazi, attività, esperienze e relazioni a causa di:
- politiche sociali inadeguate;
- disinteresse;
- timore della diversità.
Oltre a queste barriere esterne, spesso si trovano ad affrontare anche complessi ostacoli “interni”. La loro immagine psichica può risentire delle loro stesse esperienze interne negative (pensieri, sensazioni ed emozioni spiacevoli) e del timore del giudizio degli altri che inibisce il loro mettersi in gioco in un contesto sociale.
Questa premessa è fondamentale per spiegare la complessità del binomio disabilità e sport. Di fatto, nonostante esistano sempre più realtà sul territorio che promuovono l’integrazione delle persone con disabilità attraverso lo sport e operatori consapevoli delle sfide che gli aspiranti atleti si trovano ad affrontare, solo l’8,5% dei disabili gravi pratica un’attività sportiva (dati ISTAT del 2018).
Empowerment nello sport e disabilità
Secondo Zimmermann, il concetto di empowerment rappresenta il passaggio da una condizione di learned helplessness (impotenza appresa) a quella di learned hopefulness (percezione appresa di essere capaci) e può essere acquisito dall’individuo partecipando attivamente all’interno della comunità in cui è inserito. La letteratura sottolinea che anche lo sport può essere un contesto di potenziamento per le persone disabili. Non a caso, il Comitato Paralimpico Internazionale dello Sport ha definito l’empowerment come “il processo attraverso il quale gli individui sviluppano le competenze e le capacità di ottenere il controllo sulla propria vita e di intervenire per migliorare la loro situazione di vita”.
Alcuni stereotipi distorcono in negativo l’immagine che abbiamo delle persone disabili, portandoci erroneamente a non considerare la loro passione, energia, vitalità e determinazione nello sfruttare al meglio le proprie capacità residue. Anche loro possono vivere lo sport nella pienezza delle sue caratteristiche psico-fisiche e ludiche, non solo come mera fisioterapia! E sono proprio gli atleti disabili – sempre più presenti sui grandi schermi e sui social – a contrastare questi pregiudizi: “ognuno di noi ha un proprio potenziale, possiede un mazzo di carte che il destino ci ha dato in dote e che attraverso l’allenamento e la preparazione migliora ma quando la gara inizia, quando si gioca, dobbiamo essere consci del fatto che l’obiettivo è fare il nostro meglio, non ottenere il miglior risultato assoluto” (Alex Zanardi). In altre parole, lo scopo è vivere al meglio il contesto sportivo (dilettantistico o agonistico che sia) e imparare ad accettare i limiti del proprio corpo che sono presenti in ciascuno di noi (disabili o normodotati che siamo), seppur in misura diversa. Ecco dove sta l’eguaglianza!
Disabilità e sport: quali benefici?
Secondo i dati Istat (2018), il 75% dei disabili che praticano sport dicono di essere soddisfatti della loro vita, soltanto il 2% di quelli che non lo praticano si reputano soddisfatti. Lo sport è quindi un fattore che migliora di molto la percezione della qualità della vita. In particolare, per un disabile, praticare regolarmente l’attività sportiva porta a diversi benefici a livello:
- Cognitivo: migliora la conoscenza del proprio corpo, dello spazio, del tempo e della velocità;
- Fisico: incrementa la forza muscolare, la capacità di equilibrio, la cinestesia e la coordinazione motoria grazie alle ripetizioni consapevoli e finalizzate degli atti motori, e aiuta anche a superare la fatica;
- Apprendimento: favorisce l’acquisizione di conoscenze tecniche relative alle varie discipline sportive ed incentiva la comunicazione interpersonale, la collaborazione attraverso il gioco di squadra e il rispetto delle norme condivise;
- Psicologico: aumenta la determinazione a cui conseguono maggiore autostima, fiducia in sé stessi e ottimismo;
- Emotivo: migliora la gestione degli stati emotivi incrementando la propria capacità di autocontrollo;
- Socio-educativo: aumenta l’autonomia, sprona all’impegno durante gli allenamenti e al rispetto dell’avversario, promuove il coraggio e la lealtà, favorisce la socializzazione, l’aggregazione e l’integrazione utili a superare paure, pregiudizi e isolamento.
Chiaro è che l’allenatore deve tener conto sia del grado di disabilità che delle tappe dello sviluppo psicofisico dell’atleta. Per quanto concerne il primo, è fondamentale valutare e considerare:
- la sua capacità di percepire e pensare se stesso e gli altri;
- il grado di elaborazione e gestione dei propri ed altrui stati emotivi;
- la sua capacità di comunicare con il mondo esterno;
- le funzioni attentive, mnestiche e i suoi processi di apprendimento;
- la sua motivazione.
Inoltre, la sua capacità di ricezione ed assimilazione di contenuti e proposte pratiche è strettamente correlata alla sua maturazione psicofisica. Il progetto deve essere necessariamente individualizzato affinchè l’attività motoria assolva la sua funzione socio-educativa aiutando così la persona disabile a sviluppare al massimo le sue potenzialità, evidenziando ciò che egli è già in grado di fare. Dunque, prima conoscerà se stesso e il proprio corpo, ed in seguito sperimenterà la motricità altrui, imparando ad osservarla, interpretarla e riconoscendone il suo valore espressivo.