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Diagnosi oncologica: le fasi verso l’accettazione

Il paziente affetto da neoplasia porta con sé una serie di bisogni che non si limitano all'area medica di controllo del dolore e contenimento dei disturbi fisici, ma anche aspetti emotivi, relazionali, spirituali. La comunicazione di una malattia tumorale stimola reazioni psicologiche diverse che possono seguire alcune fasi.

Ogni giorno in Italia si diagnosticano più di 1.000 nuovi casi di cancro. Si stima, infatti, che nel nostro Paese vi siano nel corso dell’anno circa 377.000 nuove diagnosi di tumore, rispettivamente 195.000 tra gli uomini e 182.000 tra le donne. Il cancro è ancora la seconda causa di morte (il 29% di tutti i decessi) dopo le malattie cardiovascolari. Tuttavia, chi sopravvive a cinque anni dalla diagnosi ha, per alcuni tumori (ad es. testicolo, tiroide, melanoma, linfomi di Hodgkin), prospettive di sopravvivenza vicine a quelle della popolazione che non ha mai avuto una neoplasia.

Diagnosi oncologica: le reazioni psicologiche

A livello psicologico, il tumore rappresenta una patologia in grado di compromettere l’equilibrio psico-fisico della persona colpita. Di fatto, la diagnosi oncologica può  frammentarne la corporeità, la dimensione cognitiva, spirituale, esistenziale, emotiva e relazionale.

Nell’immaginario collettivo il cancro viene associato alla morte stessa, oltre ad essere sinonimo di malattia mortale. Ecco che le reazioni che si manifestano alla comunicazione della diagnosi derivano dall’idea di una malattia maligna, dalla minaccia di morte, dalla paura del dolore intenso e/o dalla perdita di autonomia; possono dunque presentarsi paura, ansia, senso di colpa, rabbia e tristezza.

Generalmente il primo sentimento che emerge è quello della paura della morte:

 “Di cancro si muore, non c’è più niente da fare”.

 Altre volte può scattare il meccanismo psicologico legato alla negazione:

 “Hanno sbagliato, non è possibile”.

 Altre volte, invece, possono manifestarsi una profonda tristezza e senso di demoralizzazione:

 “Niente sarà più come prima: il lavoro, gli amici, la famiglia”.

Tutte queste emozioni sono spesso definite dai pazienti come “uno shock”, “una confusione “, “una nebbia”. Non stupisce dunque che il cancro rientri tra gli eventi più traumatici e stressanti nonostante i progressi ottenuti in ambito diagnostico, di screening e terapie antitumorali.

Le cinque fasi di consapevolezza della diagnosi oncologica

Un contributo importante nell’ambito della psiconcologia è rappresentato dal lavoro di Elizabeth Kübler Ross che formulò il cosiddetto modello di adattamento alla diagnosi che prevede cinque fasi che si possono verificare nel corso della malattia.

1) Fase della negazione e del rifiuto

Questa fase si esprime principalmente attraverso frasi come “No, non può essere vero.” oppure “Hanno sbagliato diagnosi.” e rappresenta un modo attraverso cui la persona cerca di proteggersi e tenere la realtà lontana dalla coscienza fino a quando non si sentirà in grado di affrontarla. In tal senso, il paziente può sia rifiutare la realtà dell’evento che comportarsi come se la patologia non ci fosse o non fosse grave.

Questo modo di reagire può essere funzionale se è transitorio perché consente alla persona di mobilizzare le risorse utili per affrontare il dolore, altrimenti può man mano limitare le sue capacità di adattamento alla realtà. In tal caso può essere necessario un intervento psicologico.

2) Fase di collera e rabbia

Questa fase può essere espressa verso le persone che circondano il paziente (come ad es.  il personale sanitario, la famiglia, gli amici) perché in salute o perché non mostrano ascolto e comprensione come la persona affetta da neoplasia si aspetta. L’emozione di rabbia – fino all’escalation della collera – è spesso accompagnata da pensieri come “Perché io e non qualcun altro?”, “Perché proprio a me?” oppure “Parla bene lui ma sono io che sto male”. In altre parole, il paziente può interpretare la malattia come un ostacolo ai propri obiettivi, oppure come una minaccia alla propria autostima ed immagine sociale, o ancora come un’ingiustizia subita.

3) Fase del venire a patti

In questa fase, il paziente può abbandonare la rabbia in favore della trattativa come speranza di poter rimandare oltre il tragico evento.  Può esserci la convinzione che, se si avrà una buona condotta e si eseguiranno atti moralmente giusti, allora si avrà in cambio la salute. Il patteggiamento è diverso a seconda dei valori personali, può avvenire con una divinità, con la sorte o parenti o medici e può esprimersi attraverso frasi tipo “Se prendo le medicine, crede che potrò vivere fino a…”, “Se guarisco, farò…”.

4) Fase della depressione

Questa fase di solito si manifesta quando la malattia progredisce, il livello di sofferenza aumenta e il paziente comincia a prendere consapevolezza delle perdite che sta subendo o sta per subire. Qui il paziente riconosce che può fare poco per tenere sotto controllo la malattia e non può più negare la sua condizione di salute (lutto anticipatorio). Fa dunque capolino il senso di sconfitta che spesso coincide con un peggioramento dei sintomi, un calo dell’umore e un aumento della stanchezza, della fatica e del dolore.

Lo svilupparsi di sentimenti più depressivi può costituire la premessa emotiva e cognitiva alla vera e propria accettazione della malattia. Significati e interrogativi prima trascurati si ripropongono alla persona con un impatto nuovo: il senso della vita, i contenuti dell’esistenza, il significato del tempo e i temi universali della dimensione esistenziale e spirituale (fede e religiosità).

5) Fase dell’accettazione

La fase dell’accettazione rappresenta una presa di coscienza della propria morte, dove il paziente può essere troppo stanco per essere arrabbiato e troppo abituato alla malattia per essere depresso. In questa fase, si acquisisce consapevolezza della situazione attuale, le emozioni iniziano pian piano a stabilizzarsi e vi è un ritorno alla realtà, qualcosa con cui la persona ha imparato a convivere. Alcuni pazienti usano questo tempo per fare preparativi, decidere come suddividere i loro beni e come passare il tempo rimasto con i familiari.

È bene precisare che il modello di Kübler Ross è basato sul suo lavoro con i malati terminali e può non essere empiricamente valido per tutte le situazioni. Ogni paziente rappresenta una storia a sé, non esiste un percorso predefinito e universalmente valido per ogni persona e per ogni situazione clinica. I pazienti sono persone diverse per sesso, età, patologie, estrazione culturale e sociale, e mettono in atto reazioni e comportamenti diversi di fronte alla sofferenza. Non solo, le modalità di risposta e adattamento emotivo alla malattia dipendono anche da:

  • Il grado di aggressività della malattia
  • La percezione della natura della malattia
  • Il rapporto con il curante
  • Il significato di minaccia che il cancro rappresenta per il paziente
  • La presenza di divorzi o nascite
  • I fattori culturali e religiosi che possono costituire una fonte di supporto
  • Il grado di supporto sociale disponibile e percepito dal paziente
  • L’assenza di gravi disturbi psichiatrici
  • Le risorse della persona e le sue caratteristiche di personalità
  • I bassi livelli di pessimismo e depressione.

In conclusione, non c’è un modo giusto o sbagliato di reagire, tutti i vissuti sono legittimi e la risposta emotiva è soggettiva.

Le reazioni psicologiche che si provano fanno parte del processo di confronto e adattamento alla nuova condizione. Qualora siano intense o persistenti tali da alimentare una significativa sofferenza soggettiva che compromette la qualità della vita, è bene rivolgersi a uno specialista per l’elaborazione della diagnosi nella maniera più funzionale.

Bibliografia

  • Cormio, C. et al. (2010). 59 post-traumatic growth in long term cancer survivors. Cancer Treatment Reviews, (36), S112.
  • Faretta, E. (2014). Trauma e malattia. L’EMDR in psiconcologia. Milano: Mimesis Edizioni.
  • Kubler Ross, E. (2007). La morte e la vita dopo la morte. Morire come nascere. Roma: Ed. Mediterranee.