La pandemia SARS-CoV-2 ha avuto e verosimilmente avrà ripercussioni sull’equilibrio psichico ed emotivo delle persone. Basti pensare agli operatori sanitari maggiormente esposti a rischio di stress psicologico, le donne, i giovani preoccupati per il loro futuro, i familiari dei pazienti affetti da COVID-19 che hanno saggiato la perdita di una persona cara, e i lavoratori minacciati non solo sul versante economico ma anche psicologico. Numerosi studi, infatti, mostrano che la perdita di produttività lavorativa è tra i principali determinanti della cattiva salute mentale; in Italia la depressione è due volte più frequente nei disoccupati.
Se si osserva il trend dei riconoscimenti sanitari delle prestazioni a carico dell’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale), i disturbi psichici sono visibilmente aumentati con una tendenza equiparabile solo a quella delle neoplasie. Tra questi vi è il disturbo depressivo maggiore, noto anche come depressione maggiore (DM).
Il disturbo depressivo: definizione e caratteristiche
Umore depresso e/o perdita di piacere in quasi tutte le attività sono considerati sintomi cardinali della depressione. La sua complessità dipende principalmente dal numero dei sintomi e dalla gravità di questi e, anche, dal grado di compromissione funzionale. Si può parlare di disturbo depressivo, caratterizzato da episodi distinti, quando la sintomatologia si manifesta per almeno due settimane, con correlate modificazioni affettive, cognitive e neurovegetative, con verosimile interessamento di sistemi biologici multipli (es. endocrino e immunitario). Nel disturbo depressivo maggiore, i sintomi cardinali si manifestano per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni, e sono accompagnati da altri sintomi (significativa perdita o aumento del peso, disturbi del sonno, ideazione suicidaria).
Il DM è dunque una malattia invalidante che coinvolge sia la sfera affettiva che cognitiva della persona, influendo negativamente sulla vita familiare, lavorativa, e sulla salute fisica, con forte impatto sullo stile di vita e la qualità della vita in generale, ma anche sui costi sanitari e sociali. Si stima infatti che entro il 2020 sarà la seconda patologia per peso economico complessivo.
Depressione: costi diretti e indiretti
Un recente studio ha stimato i costi sociali e previdenziali della DM. Considerando il totale dei lavoratori per i quali la DM rappresenta la diagnosi primaria o quella secondaria, il numero di beneficiari delle prestazioni previdenziali è pari 10.500 individui, di cui la maggior parte (90%) beneficia di un Assegno Ordinario di Invalidità (AOI), e la restante parte di una Pensione di Inabilità (10%) Bisogna sottolineare che, purtroppo, il trend è in crescita (+70% tra 2009 e 2015). Anche i costi sono rilevanti e caratterizzati da un trend in crescita: per gli AOI sono stati spesi in totale € 550 milioni nel periodo di osservazione. Per le Pensione di Inabilità, i costi ammontano a € 93 milioni in totale. Lo studio evidenzia che sia i beneficiari sia i costi per le prestazioni previdenziali dovute a DM come patologia primaria o secondaria nel tempo sono cresciuti in maniera significativa: nel 2015 i beneficiari sono il 20% in più del 2009, mentre i costi sono il 40% in più.
Un altro dato interessante e allo stesso preoccupante è quello relativo alle classi di età delle persone maggiormente colpite da questa patologia: si tratta principalmente di persone tra i 51 e i 60 anni. Ciò determina anche un impatto notevole in termini di costi legati alla perdita di produttività. Si stima infatti una spesa pari circa 4 miliardi di euro annui in termini di ore lavorative perse. Se a questi costi si sommano anche i costi sanitari diretti (che pesano sul Servizio Sanitario Nazionale), ci si rende conto del dirompente impatto economico e sociale di questa patologia in Italia. Senza dimenticare il peso dello stigma che determina forti pregiudizi nei confronti dei pazienti.
Questi dati fanno riflettere sull’importanza di promuovere efficaci azioni di prevenzione mirata ed un tempestivo e facilitato accesso ai percorsi di diagnosi e cura. Solo così è possibile ridurre la progressione della malattia e la conseguente spesa incrementale generata dai livelli maggiori di disabilità.