Ebbene no, la gravidanza non è necessariamente una fase della vita in cui la donna deve provare felicità. Iniziamo col sfatare questo stereotipo sulla maternità perché spesso le donne si trovano a sperimentare difficoltà e sintomi depressivi, non solo nel post-partum. Di fatto, il periodo perinatale è intrinsecamente connotato di profondi cambiamenti, dall’aspetto fisico ai ruoli sociali: basti pensare alle modificazioni nel peso e nella forma del corpo che sono spesso associate a disagio fisico, delusione e frustrazione in molte donne, o allo spostamento dell’attenzione dai propri bisogni a quelli del figlio che talvolta può portare ad una confusione rispetto alla propria identità e al proprio ruolo.
Ecco perché il periodo che si estende dalla gravidanza al puerperio fino al compimento del 1° anno del bambino presenta una frequenza significativa di disturbi mentali:
- i disturbi depressivi possono iniziare in circa un terzo dei casi prima della nascita;
- i disturbi depressivi maggiori si attestano su valori compressi tra il 3-5% durante la gravidanza e intorno al 5% nei primi tre mesi dopo il parto, tuttavia se si comprendono anche quelli minori la prevalenza aumenta all’11% in gravidanza e al 13% nei primi tre mesi del puerperio.
Tali quadri clinici rappresentano importanti fattori di rischio per l’intera famiglia poiché influiscono negativamente sulla capacità delle donne di fronteggiare le attività quotidiane, sul legame mamma-bambino e sulla relazione con il padre di quest’ultimo. In particolare, la depressione perinatale può portare la donna ad avere una minore attenzione a seguire le cure antenatali ed una maggiore propensione a mettere in atto comportamenti potenzialmente a rischio durante la gravidanza (es. uso/abuso di sostanze, alterazioni dannose dello stile di vita). Non solo, risulta associata ad una maggiore probabilità di complicanze gestazionali, ostetriche e neonatali sia nel breve che nel lungo termine (es. alterazioni della fisiologia fetale, ritardo nella crescita), oltre ad impattare significativamente sullo sviluppo emotivo e cognitivo del bambino nel suo primo anno di vita (es. aumento del rischio di sviluppare disregolazione emotiva, deficit nel sistema empatico da bambini e maggior rischio di quadri psicopatologici da adulti).
Si rende quindi evidente la necessità di un’adeguata identificazione e gestione del problema affinché i sintomi non diventino cronici dal momento che circa un terzo delle donne è ancora affetta da depressione a un anno dal parto e il rischio di ricorrenze depressive successive o indipendenti da nuove gravidanze risulta elevato e pari al 40%.
Depressione in gravidanza e nel post-partum: sintomi e fattori di rischio
All’interno del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5, APA, 2013), la depressione post-partum viene considerata come una forma di depressione generale specificata “con esordio nel peripartum” se i sintomi dell’umore si verificano durante la gravidanza o nelle 4 settimane successive al parto. In particolare, devono essere presenti contemporaneamente almeno cinque dei seguenti sintomi per un periodo di almeno 2 settimane:
- Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni
- Marcata diminuzione di interesse o piacere per le attività, per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni
- Significativa perdita di peso (non dovuta a dieta) o aumento di peso, oppure diminuzione/aumento dell’appetito quasi tutti i giorni
- Insonnia o ipersonnia quasi tutti i giorni
- Agitazione o rallentamento psicomotorio quasi tutti i giorni
- Faticabilità o mancanza di energie quasi tutti i giorni
- Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati, quasi tutti i giorni
- Ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione, quasi tutti i giorni
- Pensieri ricorrenti di morte, ricorrente ideazione suicidaria
Almeno uno dei sintomi deve essere umore depresso o perdita di interesse/piacere, devono rappresentare un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento e non sono altrimenti giustificati da effetti fisiologici di sostanze o da altre condizioni mediche.
La prevalenza della depressione in gravidanza è maggiore nel primo trimestre (13%) mentre decresce nel secondo (2,5-7%) e nel terzo (2,3-6,3%). Come precedentemente anticipato, può influire negativamente sul decorso della stessa e sulla salute del nascituro: la madre può subire un’alterazione delle capacità di autogestione mettendo in atto comportamenti rischiosi o auto-lesivi e la perdita di energia e di interesse possono portarla a trascurare la propria salute e quella del feto. La depressione in gravidanza può inoltre indurre un parto prematuro e uno scarso peso alla nascita con complicanze correlate.
Per quanto riguarda il periodo successivo al parto, fino al 70-80% delle madri può manifestare nei primi giorni del puerperio sintomi lievi e transitori di depressione chiamata “baby blues” (o maternity blues): malinconia, crisi di pianto, irritabilità, inquietudine e ansia, indotte dal crollo repentino dei livelli ormonali. Tali manifestazioni tendono a scomparire spontaneamente nell’arco di una decina giorni senza alcuna compromissione della capacità materna di funzionamento, tuttavia nel 20% dei casi può non risolversi ed evolvere in una forma di depressione maggiore nel primo anno dopo il parto. Ancora una volta, tutto ciò si ripercuote negativamente sulla relazione madre-bambino e sullo sviluppo psico-emotivo di quest’ultimo. La psicosi post-partum è il quadro clinico più raro ma anche più grave caratterizzato da deliri, allucinazioni, oscillazioni dell’umore dalla depressione all’irritabilità o all’euforia, disturbi del sonno e pensieri ossessivi sul bambino. La severità della psicosi puerperale può rappresentare un fattore di rischio per suicidio, negligenza nella cura del bambino e infanticidio.
Sebbene per ogni donna la “dolce attesa” sia un momento di vita connotato da maggiore vulnerabilità, alcuni ricercatori hanno individuato i fattori di rischio nell’insorgenza e/o ripresentazione di una condizione depressiva:
- Esperienze di ansia (es. la presenza di ansia alla 32a settimana predice un significativo aumentato rischio di sviluppare depressione nel periodo post natale) e depressione durante la gravidanza o un precedente disturbo depressivo
- Eventi di vita stressanti e mancanza di un supporto sociale
- Fattori psicologici (es. una personalità caratterizzata da ridotta autostima o estremamente rigida, tendente al perfezionismo) e cognitivi (es. nutrire aspettative irrealistiche sull’essere madre e sul bambino)
- Problemi coniugali
- Condizioni ginecologico-ostetriche e socio-economiche.
Salute mentale perinatale: i programmi di prevenzione mindfulness-based
I programmi di prevenzione e di promozione della salute della donna nel periodo che va dalla gravidanza al puerperio sono di fondamentale importanza per poter influire positivamente sullo sviluppo e sul benessere della futura mamma, del figlio e delle loro relazioni familiari. Col fine di migliorare i modelli di preparazione al parto già esistenti, alcuni ricercatori hanno messo a punto e sperimentato programmi di prevenzione basati sulla mindfulness. Che cos’è la mindfulness?
La mindfulness è un modo di osservare la propria esperienza che per secoli è stato praticato in oriente attraverso varie forme di meditazione. Recenti ricerche hanno provato che praticare la mindfulness può comportare benefici psicologici importanti dal momento che attraverso queste tecniche:
- Si può imparare a guardare al proprio dolore, piuttosto che vedere il mondo attraverso di esso;
- Si può comprendere che ci sono molte altre cose da fare nel momento presente, oltre a cercare di regolare i propri contenuti psicologici.
In altre parole, è una modalità di entrare in relazione con se stessi e gli altri attraverso un atteggiamento di apertura, accettazione e compassione. La pratica della mindfulness è guidata dal principio secondo cui investire nelle valutazioni cognitive degli eventi porta al disagio psicologico mentre radicarsi nel momento presente rappresenta un’alternativa più salutare, specialmente per le donne che si trovano in un periodo della loro vita che le rende più vulnerabili nello sperimentare pensieri autocritici e indesiderati.
Questa premessa spiega perché diversi studi recenti hanno adottato programmi mindfulness-based nella transizione alla genitorialità, nel periodo prenatale, nella nascita e nel periodo postnatale. Tali interventi incoraggiano la pratica della consapevolezza e dell’accettazione dei propri pensieri, emozioni e sensazioni corporee, costruendo una tolleranza allo stress e riducendo la reattività e l’evitamento di esperienze spiacevoli. In questo modo le donne che vi partecipano sviluppano la capacità di osservare i propri mutevoli stati mentali e fisiologici senza necessariamente tentare di cambiarli, aumentando così la probabilità di accettare ciò che sta accadendo e di prendere decisioni più chiare sulle loro risposte emotive, somatiche e cognitive.
La modalità di osservare la propria esperienza è stata provata essere di sostegno alle donne che stanno per diventare mamme ed essere utile nella creazione di un legame solido mamma-bambino, migliorando così la sintonizzazione intrapersonale ed interpersonale. Di fatto, alcuni studi pilota hanno mostrato risultati promettenti nella riduzione dell’ansia, della paura del parto, della depressione e dello stress, oltre ad un aumento significativo dell’auto-compassione e della consapevolezza. Tuttavia si ritiene necessario investire su una ricerca più solida e controllata per confermarne l’efficacia poiché, ad esempio, le differenze di stress percepito tra le donne nel secondo e terzo trimestre potrebbero essere imputate a normali cambiamenti derivanti dalla gravidanza. In conclusione, alcuni ricercatori hanno suggerito che la mindfulness non ha un effetto positivo solo sulla riduzione dello stress in popolazioni specifiche, come la salute e il dolore materni, ma può essere utile anche per gli individui sani. Di fatto, tali interventi contribuiscono in maniera più allargata alla riduzione del pensiero ruminativo e l’ansia di tratto, oltre ad aumentare l’empatia e l’autocompassione.
Se pensi di soffrire di depressione post-partum, rivolgiti subito ad un professionista!