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All’origine dell’odio: le radici del pregiudizio e degli stereotipi

Stereotipi e pregiudizi fanno parte dell’essenziale necessità dell’uomo di semplificare le informazioni provenienti dall’ambiente attraverso la categorizzazione ma possono essere alimentati anche da processi e meccanismi psicosociali (es. l’influenza dei media, l’apprendimento sociale e le dinamiche esistenti tra i gruppi). Ciò non toglie che i pregiudizi, se radicati, possono creare delle realtà che se pur non vere possono diventare tali, portando a gravi conseguenze sia sulle singole persone che sui gruppi sociali.

Tutto ciò che limita la conoscenza diventa un “muro mentale”. Il pregiudizio è esattamente questo: si compone di generalizzazioni resistenti e autoperpetuanti e si alimenta della mala fede che viene spesso riposta nell’altro. Ciò può comportare la nascita di credenze statiche, irremovibili, e può addirittura sfociare in comportamenti discriminatori e di intolleranza. Basti pensare alle più recenti minacce rivolte a Liliana Segre, alle aggressioni fisiche e/o verbali contro le persone omosessuali, alla discriminazione economico-lavorativa che colpisce le donne, solo per citarne alcune.

Le persone vengono identificate come membri di gruppi sociali quando condividono caratteristiche socialmente significative; la razza, la religione, il genere, l’età, lo status sociale, il retroterra culturale sono importanti linee di demarcazione. Questo processo, chiamato categorizzazione sociale, può essere da una parte utile per trattare gli altri in maniera efficiente ed appropriata, dall’altra può esagerare le similarità all’interno dei gruppi e le differenze tra i gruppi gettando così le basi della stereotipizzazione. Ecco perché purtroppo è facile trovare in tutto il mondo manifestazioni di razzismo, di sessismo e di altri <-ismi> legati all’appartenenza etnica, all’età, alla religione.

Per spiegare l’origine dell’odio verso alcuni gruppi sociali è necessario comprendere come nasce il pregiudizio e qual è il fondamento degli stereotipi dal momento che entrambi giocano un ruolo importante.

Pregiudizi, stereotipi e discriminazione: quali differenze?

Spesso nel linguaggio comune le definizioni di pregiudizio, stereotipo e discriminazione, tendono a sovrapporsi. Per quanto tutte queste implichino una valutazione negativa di qualche gruppo, possiedono caratteristiche peculiari.

Il pregiudizio è una valutazione positiva o negativa di un gruppo sociale e dei suoi componenti basata sulla loro appartenenza, possiede quindi una componente prettamente affettiva della percezione dei gruppi. Lo stereotipo è una rappresentazione cognitiva di un gruppo sociale formata associando a quel gruppo particolari caratteristiche ed emozioni, consta pertanto di una componente prettamente cognitiva. La sua funzione è quella di semplificare e sistematizzare, tramite la categorizzazione, le innumerevoli e complesse informazioni che riceviamo dall’ambiente. Lo stereotipo è dunque strettamente collegato al pregiudizio perché permette di sostenere le valutazioni negative di quest’ultimo, condizionando sia le interpreazioni che i ricordi delle persone stesse circa un determinato gruppo.

Mentre il pregiudizio è un atteggiamento negativo, la discriminazione è qualunque comportamento diretto verso un gruppo sociale e i suoi componenti. Il comportamento discriminatorio ha origine negli atteggiamenti pregiudiziali i quali non necessariamente alimentano gli atti ostili, dal momento che non tutte le oppressioni scaturiscono dal pregiudizio.

Le radici del pregiudizio e degli stereotipi

Il pregiudizio era stato inizialmente considerato come il prodotto del ragionamento distorto di alcuni individui disturbati, in realtà vi contribuiscono sia fattori sociali che cognitivi. Di fatto, le nostre interazioni sociali e le nostre relazioni con gli altri influenzano non solo il modo in cui dividiamo il mondo in gruppi (vd categorizzazione sociale) ma anche i nostri pensieri e sentimenti riguardo a quei gruppi. Tuttavia, è bene sottolineare che i processi cognitivi non sono privi di distorsioni, talvolta possiamo raccogliere le informazioni e interpretarle in modo tale da confermare e perpetuare – anziché ribaltare – le nostre convinzioni e i nostri pregiudizi più radicati. Ecco perché gli stereotipi fanno in modo che credere sia uguale a vedere; possono influenzare le percezioni individuali al punto tale che eventi ambigui possano essere interpretati in linea con il pregiudizio di base e quindi spiegati come se ciò fosse la realtà. Al pari di altre rappresentazioni cognitive, gli effetti degli stereotipi possono non raggiungere il livello di consapevolezza.

Ma da dove arrivano gli stereotipi?

Le esperienze personali

Gli stereotipi si possono formare attraverso le esperienze personali con i componenti di un gruppo. Talvolta possono risultare distorti perché si presta più attenzione agli elementi estremi o perchè si percepiscono in modo poco accurato le caratteristiche del gruppo. Alcuni ricercatori hanno rilevato l’impatto della cosiddetta correlazione illusoria, ovvero la sovrastima dell’associazione tra due variabili che in realtà non sono per nulla, o solo debolmente, correlate. Un esempio è lo sviluppo della percezione stereotipata secondo cui esiste una correlazione tra aggressività (comportamento indesiderabile) e colore della pelle (appartenenza ad un gruppo sociale).

Gli stereotipi possono derivare anche dai ruoli che la società assegna ai componenti del gruppo stereotipizzato. Ad esempio, nella cultura occidentale gli uomini sono in genere impegnati fuori casa mentre le donne tendono ad essere maggiormente responsabili della cura della casa e della famiglia. I ruoli relativi al lavoro fuori casa richiede dei tratti – problem-solving, assertività, decision-making – che caratterizzano il tradizionale stereotipo maschile, mentre il ruolo di cura della casa richiede qualità – sensibilità, gentilezza, affettuosità – che caratterizzano quello femminile. Ciò può portare a commettere un errore di corrispondenza per cui il comportamento viene attribuito alle caratteristiche della personalità: riprendendo l’esempio precedente, alcuni potrebbero concludere che gli uomini sono “per natura” orientati al compito mentre le donno sono “per natura” orientate ai rapporti interpersonali. In tal senso, sebbene siano i ruoli sociali a plasmare i comportamenti dei membri di un gruppo, spesso tali comportamenti vengono attribuiti alle loro caratteristiche interiori. La cultura e i media hanno in genere un ruolo nel promuovere questa convinzione che diventa a sua volta una giustificazione per mantenere i gruppi in quei ruoli.

Gli stereotipi riflettono anche le emozioni che i componenti del gruppo sollecitano negli altri. Quando le interazioni con gli altri si accompagna a ripetutamente ad emozioni spiacevoli, i sentimenti negativi che ne derivano si trasferiscono al gruppo di appartenenza. Il non sapere cosa dire, cosa fare o come l’altro reagirà può far suscitare forti emozioni di ansia, irritazione e avversione che possono portare a non voler più avere contatti con quel gruppo poiché considerato intrinsecamente minaccioso. Inutile precisare che un conflitto presente tra gruppi esacerba le emozioni, il pregiudizio e la discriminazione portando a conseguenze disastrose.

L’apprendimento sociale

Anche l’apprendimento sociale da famiglia, amici e media può contribuire a far accettare e definire come giusti e appropriati stereotipi e comportamenti discriminatori, facendoli diventare delle vere e proprie norme sociali. Ad esempio, i bambini possono apprendere il fanatismo da genitori e/o coetanei a cui vogliono bene e che rispettano poiché spinti dal bisogno di affiliazione e approvazione sebbene il risultato sia comunque il pregiudizio.

Arte, letteratura, teatro e cinema possono rafforzare gli stereotipi profondamente radicati in una cultura, per non parlare dei media, della pubblicità. Basti pensare ai cartoni animati che mostrano per lo più ragazzi attivi, rudi e spesso violenti contrapposti a ragazze orientate all’ambiente domestico, preoccupate per il proprio aspetto o per i ragazzi.

Gli stereotipi più diffusi in una società servono spesso a giustificare diseguaglianze sociali preesistenti, rappresentando i gruppi in modo che essi paiano meritare la loro condizione, i ruoli e le posizioni sociali che svolgono per via delle loro caratteristiche. La convinzione che il mondo è giusto e che per questo le persone ottengono che ciò che si meritano, altresì chiamata credenza in un mondo giusto, porta a biasimare le vittime per le situazioni in cui si sono trovate. È una credenza di pensiero che fa sì che il mondo sia percepito come un luogo comprensibile e controllabile, e noi stessi buoni e meritevoli. Tuttavia, l’effetto è che talvolta le vittime di stupri, di violenze coniugali o affette da AIDS vengano stigmatizzate e sminuite, concludendo che abbiano fatto necessariamente qualcosa per meritare tale sofferenza. In conclusione, le opinioni su di un gruppo si formano sia attraverso le interazioni personali con i rappresentati di quel gruppo e sia tramite l’apprendimento sociale. Spesso fonti di informazione molteplici convergono a sostegno di uno stereotipo che giustifica i ruoli svolti tipicamente da quella persona.

Bibliografia

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  • Myers, D. G. (2008). Psicologia sociale. Milano: McGraw-Hill.
  • Smith, E. R. & Mackie, D. M. (2011). Psicologia sociale. Bologna: Zanichelli.